Una rappresentanza ordinistica provinciale medica, specie se si tratta dell’Ordine di Roma, che è il più importante del Paese e forse d’Europa, non può svolgere adeguatamente la propria funzione senza l’autorevolezza fondata sulla propria indipendenza e autonomia, soprattutto se l’autorevolezza subisce il peso di interessi e relazioni che nulla hanno a che fare con gli scopi che la legge attribuisce agli Organi di rappresentanza ordinistica. Da troppi anni queste relazioni sono condizionate da dinamiche sindacali, ordinistiche e, a volte, politiche.
Le dinamiche che sovraintendono alla costituzione dei vertici ordinistici provinciali, nella prassi più comunemente diffusa nel Paese, sono determinate dalle aggregazioni sindacali mediche prevalenti. Da questa semplice constatazione scaturisce il rischio concreto che l’azione ordinistica perda la capacità di tenere separate le competenze di carattere ordinistico da quelle di carattere sindacale. Purtroppo nella cruda realtà si deve prendere atto che questa distopia sembra abbia messo radici profonde, come è facilmente osservabile. L’esempio più eclatante delle dinamiche innescate da questo contesto è dato dall’uso applicativo dello storico modello del “Manuale Cencelli“, da parte dei sindacati prevalenti, all’atto di individuare le posizioni dominanti negli Organi della Federazione Nazionale degli Ordini Provinciali, graduando le posizioni in funzione dell’entità degli Ordini provinciali conquistati.
In perfetta consonanza con questo modo di procedere, gli stessi sindacati provvedono a determinare gli Organi di gestione della Fondazione ENPAM. Tale Fondazione, alla cui gestione partecipano anche membri espressi dai Dicasteri competenti, negli ultimi lustri, è diventata la “massima attrazione” dei vertici dei sindacati medici prevalenti, che di fatto ne sono diventati “azionisti” di maggioranza. Negli ultimi anni l’ENPAM, considerando anche l’entità del bilancio che gestisce, che si avvia verso le tre decine di miliardi di euro, sembra essere diventato l’interesse principale per questi “azionisti”. In sostanza, appare un sistema di potere che non è stato scalfito neanche dal clamore suscitato dallo scontro al vertice esploso in seno al Consiglio di amministrazione tra il 2016 e il 2017. Si ricorderà come all’epoca un componente di primo piano sia stato denunciato con l’accusa di aver indebitamente distratto qualche milione di euro dal bilancio dell’Ente. Nonostante tale gravissimo fatto, non si è osservato nessun segnale circa un maggior controllo sulla trasparenza dell’Ente stesso; gli oltre duecentomila medici, che tengono in vita l’Ente coi loro contributi previdenziali, non risulta siano stati informati in merito agli sviluppi di questa vicenda. Ma non solo: nonostante il risalto mediatico, non sono state fornite spiegazioni plausibili in relazione alle ingenti indennità percepite dai vertici dell’Ente.
Altro Ente nel quale si segue un’analoga metodologia da parte dei sindacati, sempre col “manuale” citato, è l’ONAOSI, che però dispone di un bilancio economico nettamente inferiore rispetto all’ENPAM.
Questo sintetico quadro di contesto in ordine alle dinamiche in uso nel mondo delle rappresentanze dei medici spiega, in qualche modo, quali siano i motivi che sembrano distogliere tali rappresentanze dalla loro specifiche e distinte competenze. Infatti le rappresentanze sindacali hanno il compito di tutelare i diritti e gli interessi della categoria rappresentata. Mentre gli Ordini Provinciali hanno la competenza di custodire ed applicare il Codice di Deontologia medica per garantire l’integrità e la purezza dell’esercizio della professione medica, tutelando l’autonomia e l’indipendenza dei medici, nel rispetto dei dettami del Codice stesso.
Da questo breve tratteggio di contesto emerge con chiarezza quale sia una causa importante dell’attuale drammatica situazione in cui versa la professione medica. Si è arrivati ad un punto tale per cui i medici, per legittima difesa, si stanno tristemente rifugiando nella cosiddetta medicina difensiva, a danno di sé stessi e dei pazienti, senza considerare che, in un simile contesto, si diffonde discredito nei confronti della categoria medica (fenomeno ingravescente di aggressioni violente e altro) e si determina un danno sociale incalcolabile. Nell’arco degli ultimi 20 anni, epoca in cui si sono progressivamente implementate le dinamiche qui richiamate, sono fuggiti dall’Italia ben 130.000 medici, viste le precarie condizioni di lavoro dei medici (ruoli e competenze spesso conculcate), per non parlare delle retribuzioni, tra le più basse in occidente. Tutti i medici che operano a vario titolo nel SSN sono completamente in balia di un sistema organizzativo e di gestione della sanità che ha complessivamente raggiunto punte massime di degrado. Sotto questo profilo i medici sono stati di fatto privati dei propri diritti fondamentali ed abbandonati a loro stessi. Nei fatti, sono stati traditi da chi aveva il compito e il dovere di tutelarli. Va anche menzionato il fatto che i medici pensionati INPS sono l’unica categoria professionale italiana che per legge è obbligata a versare una contribuzione previdenziale “integrativa”, peraltro oggettivamente sconveniente. Infatti ogni singolo medico dovrebbe vivere almeno fino a 120/130 anni per riavere i contributi “integrativi” versati, al fine di godere di un equo trattamento pensionistico “integrativo”. Questa, di fatto, è diventata una tassa odiosa e discriminante nei confronti di oltre 110 mila medici dipendenti, ma lo Stato non dovrebbe concedere una tale ingiusta gabella che favorisce solo l’Ente in questione. Nella situazione che si è creata, il Codice di deontologia medica è finito da anni in un cono d’ombra ed è largamente inapplicato in relazione ai suoi dettami fondamentali, che sono a garanzia delle buone pratiche cliniche. A questo si aggiunga che la gran parte degli Ordini provinciali non si fa carico di agire secondo le competenze che la legge conferisce loro. Tra queste, vale la pena di citarne una per tutte, cioè quella di interporsi nelle controversie degli iscritti all’Albo tra loro e, soprattutto, contro terzi, Enti compresi. Ma pare sia mediamente preferito evitare di turbare il “quieto con-vivere” con le amministrazioni sanitarie in special modo. E il vascello va….
Inoltre gli attuali vertici della Federazione Nazionale degli Ordini si sono ripetutamente, pubblicamente e solennemente impegnati ad aggiornare il Codice di Deontologia Medica vigente promulgato a maggio del 2014. Ma nell’ambito di ben due consiliature, di cui l’ultima quadriennale, nulla è stato fatto in merito (per fortuna!). Si è autorizzati a immaginare si sia trattato di incapacità o mancanza di coraggio di alterare i sacrosanti principi costitutivi del Codice, omologandolo al “nuovo che avanza”, ovvero entrambi gli aspetti. Gli stessi vertici in questione hanno avuto un atteggiamento eccessivamente remissivo nei confronti dei due Governi che hanno dovuto gestire la recente pandemia, durante la quale, certamente, si è verificata quantomeno una palese violazione del Codice Deontologico vigente in materia di consenso informato del paziente (Art. 35 del CDM), La FNOMCeO avrebbe dovuto far presente tale violazione, dando il proprio contributo, cooperando col potere esecutivo, al fine di sanare anche altre criticità che si sono verificate, piuttosto che tenere un umiliante profilo passivo. D’altra parte, gli attuali vertici della FNOMCeO sono sostanzialmente gli stessi che dovettero subire l’attività incalzante dell’Ordine dei Medici di Roma negli anni 2012-2017 quando fu sventato il loro tentativo di operare modifiche ai principi cardine del Codice stesso. L’Ordine di Roma in quegli anni ebbe la capacità e la forza morale di fermare la tendenza della Federazione ad omologare il Codice all’ideologia prevalente (atto medico, rapporti con le altre professioni e temi eticamente sensibili).
In conclusione, urge interrompere queste dinamiche, che hanno creato una situazione inaccettabile e che hanno favorito la grave crisi della professione medica nel nostro Paese. Oggi bisogna agire con lo strumento democratico in occasione delle elezioni ordinistiche (incredibilmente anticipate ad agosto-settembre, chissà perché! Cosa mai successa negli ultimi quarant’anni almeno). C’è bisogno di aria pulita e di forze nuove all’interno degli Ordini provinciali. Occorre che le attuali rappresentanze siano sostituite da una nuova generazione di medici capaci (più “praticanti” e meno “burocrati”) e con spiccata sensibilità etica nei confronti della professione medica. In fondo si tratta di riportare la medicina italiana a quella che è stata fino ai primi anni ’80, quando ancora gli Ordini svolgevano i propri compiti senza subire l’influenza più deteriore dei sindacati che, a loro volta, allora conservavano ancora una sufficiente autonomia rispetto alle esigenze della politica, la quale peraltro non era certo di profilo inferiore all’attuale. Non è un caso che fino a quegli anni la medicina italiana era esplicitamente apprezzata nel mondo.
dr. Dario Giacomini
Presidente Associazione ContiamoCi!